Una mostra nel tempo storico della crisi. Un comunicato stampa nello spazio storico del testo “critico”. Un testo dentro e oltre la crisi, informazione e riflessione in cerca di una purezza elementare, di qualche catarsi evocata e sperata. Raccontare questa mostra attraverso parole oliate senza corrosione, come un movimento circolare che metabolizzi le scorie, come il moto ritmico del pedalare verso un orizzonte distante ma forse ancora raggiungibile.
Maurizio Savini ci pone sul crinale del dubbio storico, crea l’interrogativo attraverso il moto da fermo, attraverso una bicicletta che resta sospesa da terra, con un faro che illumina un lontano villaggio, mentre il moto dei pedali aziona un vecchio giradischi su cui suona l’inno di Mameli, la canzone della nostra unità, il simbolo di un Paese che innalza i suoi miti e spesso li ribalta, scuotendo la memoria col pericoloso sisma della crisi morale.
L’installazione di Savini verte su due cardini monolitici: la bicicletta da una parte, simbolo di un’Italia che ha costruito leggende di sudore e muscoli attorno alle due ruote; la testa di Giuseppe Garibaldi dall’altra, artefice di una modernità necessaria che le nuove generazioni e le recenti crisi stanno trasformando in un gioco di piccole ombre e grandi ambiguità. L’orientamento è paradigmatico, così concreto e al contempo simbolico, un innesto linguistico asciutto e diretto ma senza retorica. La bicicletta somiglia incredibilmente all’Italia odierna, a quel pedalare faticoso che lascia sul posto i corridori stanchi; il villaggio in lontananza è un’ipotesi salvifica, una luce che s’intravede come l’obiettivo possibile eppur difficile da raggiungere.
L’opera è un moto perpetuo della coscienza, un’azione che replica se stessa per evocare l’onere delle tradizioni, per immaginare un senso attuale davanti ai nostri archetipi. Maurizio Savini ha immaginato pochissimi elementi, netti e comprensibili, reali come ready-made urgenti, simbolici come fiamme del pensiero morale!
Ci chiede uno sforzo fisico, una pedalata che sia un segnale di partecipazione condivisa, affinché la luce cresca e il villaggio, ancora lontano ma non impossibile, sia sempre più vicino. Non è tempo di utopie, sembra dirci l’opera, ma di fatica reale, ascolto reale, visione reale. E’ tempo di confronti decisivi, dove siamo noi a far suonare l’inno italiano, noi a illuminare il luogo, noi a meritarci o meno lo sguardo di Garibaldi. Siamo noi a correre dentro la crisi, affinché quella parola diventi sinonimo di cambiamento, affinché il villaggio diventi il luogo di una possibile rinascita.
Gianluca Marziani
Solo per la giornata di sabato 15 gennaio dalle ore 19.00
Fondazione Pastificio Cerere
Via degli Ausoni 7
Roma 00185