IL MIO RICORDO
15 Febbraio 2016
Feliciana Mariotti
Archivio 2016
il professor Roberto Pappacena a vicino al suo ritratto fatto da don Paolo (www.ilnotiziariodicortina.com)
Sono ormai prossimo a lasciare questo mondo terreno, e ho pensato di scrivere il mio ricordo come io stesso lo vorrei.Sono vissuto su questa terra sempre più travagliata per oltre novantatré anni e mi è difficile stabilire quale periodo sia stato per me il migliore. Tengo comunque a chiarire che ho attraversato, sì, con ansia gli anni della guerra, ma che oggi, a volte, mi viene quasi da rimpiangerli, perché sapevo, allora, quale fosse il nemico; anzi, quando ricordo che da giovane restai miracolosamente vivo perché ospitato da una generosa famiglia di contadini, mi vien da preferire la lotta a viso aperto. Leggere, insomma, oggi un giornale o guardare la televisione, è diventato un modo immediato per rovinarmi la giornata.Il dono più grande, che mi abbia fatto la vita, sono stati i miei genitori: Enrico, seguitassimo docente universitario e autore di molteplici libri importanti e mia madre Ersilia Sigismondi, scrittrice anche lei e appartenente a una famiglia tuttora famosa di scrittori e musicisti abruzzesi; la compagna dolcissima della mia vita, Giovanna Biddau, mia collega nell’insegnamento, conosciuta qui a Cortina e sposata a Trieste, madre di due figli: Laura e Andrea, che sono al centro dei miei pensieri e dei miei sentimenti, padre tra l’altro, Andrea, del delizioso nipotino Filippo, per il quale farei non so che cosa.Per quanto riguarda l’insegnamento, ho un profondo rimpianto delle lezioni universitarie nella Scuola Normale Superiore di Pisa, dove entrai per concorso: si svolgevano con illustri docenti intorno a una “tavola rotonda”, risolvendosi così in una “conversazione” attraverso domande e risposte e guardandosi negli occhi. La struttura della classe, insomma, è quanto mai importante. Oggi lo stare insieme, disposti come sono in alto su una pedana il docente, in basso e seduti in banchi staccati e successivi, gli alunni, è solo una formale illusione. Come anche l’andare a cena con i colleghi di un’Associazione culturale, sistemati lungo file lunghissime di tavoli: posso dire di essere rimasto per tutto il tempo a parlare con due o tre amici, seduti ai fianchi e di fronte: non certo con tutti gli altri, seduti a metri e metri di distanza.(continua, Dio permettendolo!)Roberto Pappacena
© il Notiziario di Cortina