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INTERVISTA A LORENZO LORENZI, VINCITORE DEL “PELMO D’ORO” 2019

30 Luglio 2019
Feliciana Mariotti
Archivio 2019
Lorenzo Lorenzi - Foto Feliciana Mariotti - www.ilnotiziariodicortina.com
Lo scoiattolo Lorenzo Lorenzi “dai Pale” ha ricevuto sabato 27 luglio in tarda mattinata a San Martino, frazione di Chies d’Alpago il “Pelmo d’Oro” alla carriera. Ci ha concesso un'intervista, dove ha ricordato alcuni momenti della sua vita. 
Che cosa si prova a ricevere il “Pelmo d’Oro”?
È una soddisfazione enorme, perché è un riconoscimento che non danno a tutti. Ventidue anni fa è stato consegnato al Gruppo Scoiattoli di Cortina e già allora era una gioia immensa. Sabato l’emozione era a mille e abbiamo festeggiato alla grande, utilizzoil verbo “abbiamo”, perché con me c’erano il presidente degli Scoiattoli Alberto Gaspari Moroto, il mio amico scoiattolo Carlo Gandini, i miei figli Claudia, Guido e mio genero Claudio.
Il Comune di Puos d’Alpago ha preparato tutto nel migliore dei modi, abbiamo avuto un’accoglienza incredibile. Tutto è stato ben organizzato, il sindaco simpaticissimo ha fatto gli onori di casa. Erano presenti diversi politici, tra i quali il presidente della Provincia Roberto Padrin, mentre il presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha mandato una lettera. Ci siamo fermati sino alle 17.00, poi siamo scesi in Alpago per salutare gli amici ristoratori. La festa è continuata a Cortina d’Ampezzo, a Ciasa Lorenzi.
Il “Pelmo d’Oro” non è stato il primo riconoscimento che ha ricevuto?
Ne ho ricevuti diversi: il Premio Lions, il Premio Melvin, la Medaglia d’Oro dal Governo Germanico, il titolo di cavaliere dal presidente Cossiga. Il “Pelmo d’Oro” è significativo non solo per la carriera, ma anche per il primo soccorso che feci.
Il primo soccorso?
Ci ho pensato proprio il giorno che mi hanno consegnato il “Pelmo d’Oro” e l’ho raccontato sul palco. Feci il mio primo soccorso quando avevo 17 anni sulla Parete Nord del Pelmo. Ricordo che arrivammo con un taxi a Staulanza, poi scalammo metà della
parete e recuperammo un morto e un ferito. Avevamo poco materiale, solo corde. Da quella volta le cose cambiarono…
(Lorenzo Lorenzi non racconta che, nel 1962, divenne presidente della squadra dei soccorritori e che nessuno li pagava per i soccorsi, che perdevano parecchie giornate di lavoro, ognuno si pagava il materiale necessario e non avevano la
copertura assicurativa. Proprio nel 1962  Lorenzi stipulò le prime polizze private, fece propaganda al soccorso e riuscì a ottenere molte donazioni per coprire le spese assicurative e dei materiali necessari N.d.A.).
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Giovanni Cenacchi ha affermato: “Lorenzo Lorenzi è lo scoiattolo che più frequentemente è scappato di casa per inseguire il miraggio delle montagne straniere”. Può raccontare i suoi viaggi all’estero con i clienti?
Nei primi anni Sessanta ho avuto la fortuna di conoscere Marino Tremonti, alpinista, organizzatore di spedizioni e con lui
ho fatto alcune prime ascensioni. Avevo 27 anni quando nel 1966 con lui e Claudio Zardini siamo saliti in Canada sul Telluride
Peak (il 2 luglio), sul Ladybirds Peak e sullo Sparrow Peak (l’11 luglio). Due anni più tardi si è unito a noi Ferdinando Gaspard e siamo andati in Yukon, tra le cime dell’Himalaya, scalando il Parvati Peak (6.633 m).
Nel 1972 con Tremonti e Armando Perron in Ecuador abbiamo affrontato il Fraile Grande. Tra le mie ascensioni annovero anche il Pan di Zucchero in Brasile e il Ruwenzori in Africa.
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Cosa accadde quando siete scesi dal Parvati Peak?
Quando siamo arrivati giù abbiamo girato per l’India e ho conosciuto l’ambasciatore Giorgio Giacomelli, purtroppo mancato a gennaio di quest’anno. Amava Cortina d’Ampezzo e veniva spesso quand’era piccolo e ci è tornato un anno dopo che l’ho conosciuto. Quando è stato trasferito a Mogadiscio, siamo andati con la sua land rover sul Monte Kenia e siamo saliti sulla Punta Nelion (5.188 m) e sul Monte Bation (5.199 m), un anno dopo sul Ruwenzori (5.109 m), il gruppo montuoso
dell’Africa Centrale al confine tra Uganda e Repubblica Democratica del Congo. Ricordo che abbiamo scalato con un tempo fantastico. Il duca degli Abruzzi è stato sei mesi per fare una foto. Ho alcune immagini meravigliose: salire il Ruwenzori è stato fantastico. Nel 1975 con alcuni Scoiattoli abbiamo intrapreso un’avventura scalando il Pan di Zucchero.
Qual è stato il momento più triste?
 Ce ne sono stati diversi. Sicuramente nel 1976 quando, come Gruppo Scoiattoli abbiamo organizzato la spedizione sulla parete Nord dell’Huascaran nelle Ande Peruviane. Lì hanno trovato la morte Carlo Demenego e Raniero Valleferro, travolti da una valanga. (Gli occhi di Lorenzi diventano lucidi e si riempiono di lacrime N.d.A.).
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Quella è stata una botta secca! È stato veramente brutto!
Ho continuato ad andare in montagna con Giacomelli, a salire la Cima Fitz Roy in Patagonia al confine tra il Cile e l’Argentina, ad attraversare la Terra del Fuoco, una terra mistica, ostica, misteriosa, tanto impervia quanto affascinante e in Pakistan la Karakorum Highway, che come si dice in inglese è la più alta strada asfaltata internazionale del mondo, che da Scardu arriva alla Valle dell’Hunza.
Salì sulla parete Nord dell’Eiger?
Sì, era il sogno degli alpinisti di tutto il mondo. Ricordo che sono salito con Igi Menardi, Carletto Alverà, Carlo Gandini, Gualtiero Ghedina, Bruno Menardi e Albino Michielli Strobel, che morì tragicamente cadendo dalla Torre Piccola di Falzarego, sul Lagazuoi
Apriste anche la via Paolo VI?
 Con Bruno Menardi, Strobel, Carlo Gandini e Arturo Zardini aprimmo sul pilastro della Tofana la via “Paolo VI”. Ricordo dalla radiolina l’annuncio del nuovo pontefice, così decidemmo di dedicarla a lui.
L’amore e la passione per la montagna si è alimentata di viaggio in viaggio. Vedere le montagne, salirle, contemplarle sono state una parte della sua vita, l’altra parte era a Cortina d’Ampezzo…
 A Cortina d’Ampezzo c’era mia moglie Giuliana che lavorava in rifugio e cresceva i miei due figli: Claudia e Guido. Tra una spedizione e l’altra ritornavo a casa.
Che cosa le ha insegnato la montagna?
 Ad avere tanta pazienza, come quella che ha avuto mia moglie… In poche parole la montagna ti insegna a vivere, senza pretese.
Anche a Cortina d’Ampezzo ha aperto nuove vie?
Nel 1966 con Candido Bellodis, Luciano Salvadori ho aperto sulla Tofana di Rozes, sperone sud ovest la
variante alla via Tridentina (Bonatti - Contini) di terzo e quarto grado; due anni più tardi, il 15 agosto con Luciano Salvatori, la parete sud-est della Torre Fanis di terzo, quinto e sesto grado. La via venne dedicata a Ivano Dibona, morto, a 25 anni, l’8 agosto 1968, caduto dallo “Spigolo Dibona” della Cima Grande di Lavaredo, dove stava salendo con un cliente.
Ricordo che pochi giorni prima fece un soccorso di un ferito proprio sulla Cima Grande di Lavaredo. Sempre con Salvatori sono salito sulla parete sud-ovest del Castelletto in Tofana (prima ascensione) di quinto grado con passaggio di sesto.
Mi sono arrampicato dappertutto: spigolo della Cima 1 di Lavaredo, Rocchetta Alta del Bosco Nero, Dito di Dio del Sorapis, Cristallino d’Ampezzo. Sono riuscito a scalare tutte le vie che volevo. Non sono però salito sullo Scotoni, non mi
piaceva.
È stato uno dei primi a costruire un rifugio. Racconti come è andata?
Luigi Ghedina “Bibi” con la moglie aveva costruito il Rifugio Pomedes, Beniamino Franceschi “Mescolin" il Rifugio Lorenzi sul Cristallo, così mi venne l’idea di realizzare il Rifugio Cinque Torri. Mi piaceva il posto e un inverno, venendo giù dal Nuvolau, mi sono storto una caviglia. Sono rimasto lì due/tre ore, poi sono sceso con gli sci sino a Pocol. Fu in quell’occasione che mi innamorai del luogo e decisi di costruire il Rifugio.
Che ricordi ha degli esordi del Gruppo Scoiattoli di Cortina?
Prima di me faceva parte del Gruppo mio fratello Guido (1929-1956) e aveva 10 anni più di me e mi trascinava dappertutto. Arrampicavo con lui, con Claudio Zardini con il Mescolin e con Candido Bellodis e, dopo aver imparato, ho iniziato a salire
da solo.
Che cosa consiglia ai giovani?
A loro dico di continuare ad arrampicare non solo in palestra ma anche in montagna. Nella palestra non si diventa alpinisti che vuol dire salire le Alpi, l’Himalaja, le Ande. Fare le falesie, quindi salire 20 metri e scendere giù, significa fare ginnastica e
allenamento.
Esattamente 15 anni fa è tornato sul K2 con alcuni Scoiattoli e non solo per commemorare la conquista avvenuta nel 1954 da parte di Lino Lacedelli con Achille Compagnoni? Cosa ricorda?
Il 27 luglio 2004, alle ore 7.15 locali, raggiunsero gli 8.611 metri della vetta: Mario Dibona, Renato Sottsass, Marco Da Pozzo e Renzo Benedetti; il giorno seguente, alle ore 9.45 locali, anche il nipote di Lino, Mario Lacedelli, e Luciano Zardini.
Lino Lacedelli è stato con noi fino ai piedi della grande montagna.
Ricordo i collegamenti via satellite, servizi, interviste fatte dal giornalista Andrea Gris per Radio Cortina tutti i giorni, dalla partenza della spedizione. Questo ha contribuito a far sognare la salita, a far ritornare a casa tutti i ragazzi sani e salvi, a caricare il gruppo e a coinvolgere tutto il Cadore. Quando siamo ritornati siamo stati accolti da trionfatori, a San Vito di Cadore abbiamo visto il paese tinto di rosso. Quando siamo arrivati a Cortina d’Ampezzo una grande folla ci ha accolti con gioia in piazza Angelo Dibona.
Ringraziamo lo Scoiattolo Lorenzo Lorenzi per averci fatto capire che le montagne sono fatte per essere scalate e che esplorare le vette faceva parte del suo destino.
 
Feliciana Mariotti
 
 

© il Notiziario di Cortina

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